giovedì 9 febbraio 2012

obbligo di Catene

In vista di un'altra possibile nevicata su Roma, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha emanato un'ordinanza per affrontare al meglio l'emergenza.
Per domani obbligo di Catene: in TV a reti unificate fino alle 24 di sabato.
Chi cambia canale, spala la neve.


martedì 31 gennaio 2012

sboccio della razionalità

Quando ci si rende conto che la sola volontà cieca e ostinata di fare sesso non è sufficiente per farlo veramente e si decide di dare un’occhiata al cosiddetto mondo esterno, magari possono tornare utili seguire i seguenti passi:


a. esiste non-io;
b. non-io non risponde ai comandi;
c. approfondire il concetto di “no”;
d. importanza delle mutande nella società contemporanea;
f. il mondo ha un fondamento.

domenica 29 gennaio 2012

snob alla quarta

Tutti hanno il diritto di essere snob. È nella carta dei diritti dell’uomo, dopo la parte sull’eiaculazione.
Essere snob è un piacere che nessuno dovrebbe negarsi, è quella specie di sollievo che deriva dal sentirsi un gradino sopra al resto dell’umanità, non tanto per intelligenza quanto per esperienza mondana. È quell’atteggiamento di imperturbabile saccenteria che porta a non stupirsi più di nulla e ad apprezzare tutto ciò che concerne Victor Sjöström. Essere snob significa saperla un pò più lunga degli altri, ma senza entrare nei dettagli.

Dio mio, Manrico, è orribile!

Cosa non lo è, Piero?

Hanno arrestato otto persone solo perché non hanno finito il dessert.

E cosa ti stupisce?

Avevano tutti meno di un anno!

Capita ogni giorno.

Ma godevano dell’immunità parlamentare!

Ovvio.

Erano tutti incensurati, di buona famiglia e andavano a messa ogni domenica.

E magari erano anche disabili...

No.

Appunto. Succede ogni giorno.

Però erano dei fan di Guerre Stellari, può essere considerata una malattia?

Come puoi guardare film tanto orrendi, Piero?

Essere snob non significa disprezzare gli altri, ma solo fare finta, che è una cosa diversa.
Per esercitare il proprio diritto allo snobismo è indispensabile frequentare persone che, per qualche ragione, abbiano deciso di rinunciarvi. Queste persone sono chiamate “gente comune” e sono indispensabili allo snob per procurarsi il necessario sollievo. Non è possibile dedicarsi con soddisfazione a pratiche snobistiche se manca la gente comune, così come è assurdo immaginare una società di soli aristocratici o uno sport dove arrivino tutti primi. Qualcuno deve pur stare sul gradino più basso del podio.
I problemi nascono quando gli snob iniziano a frequentarsi fra di loro. Quando un gruppo di persone è costituito principalmente da snob, i pochi esemplari di gente comune diventano prede ambite, contese con ogni mezzo da torme di snob bisognosi. Questo in genere fa sì che le persone comuni si dileguino in tempi scala abbastanza brevi (da 1 a 2.5 Gin Tonic) e scompaiano senza pagare il conto. Questo fenomeno è noto come “decadimento comune” ed è stato studiato per la prima volta da Jean-Paul Sartre durante le sue feste di compleanno.
In queste condizioni la pratica dello snobismo non dà nessuna soddisfazione, oltre a produrre conversazioni particolarmente noiose.

Dio mio, Manrico, è orribile.

E cosa ti stupisce, Manrico?

Cosa non mi stupisce, vorrai dire?

Ovvio.

Capita ogni giorno.

E cosa non capita ogni giorno?

In questi casi, se si vuole continuare a provare il sottile piacere di sentirsi migliori degli altri senza doverlo dimostrare, è necessario iniziare a fare gli snob con gli snob, cioè praticare quello che alcuni studiosi hanno definito “snobismo alla seconda”. Questo comporta un apparente ritorno alle posizioni della gente comune e il mettersi a guardare Guerre Stellari, benché con godimento simulato.
Ecco un esempio di dialogo fra un comune snob e uno snob alla seconda.

L’ultimo film di Victor Sjöström è semplicemente sublime.

Come puoi guardare film tanto orrendi, Manrico?

Quali film non lo sono?

Guerre Stellari, per esempio.

Mi prendi in giro, vero Manrico alla seconda?

E chi non ti prende in giro?

Naturalmente il problema si ripresenta quando snob alla seconda iniziano a frequentare altri snob alla seconda. Sembra che questo fenomeno, benché più raro del precedente, abbia un’evoluzione più rapida e porti in breve tempo al fenomeno dello "snobismo alla terza".
Costoro sono gli snob degli snob degli snob. Com’è facile immaginare, essi riprendono le posizioni degli snob comuni, ma lo fanno con una certa stanchezza (non bisogna dimenticare che è gente che ha alle spalle tre passaggi snobistici, che non sono proprio una passeggiata). Di solito si esprimono in modo laconico, con brevi commenti lapidari e risultano più liquidatori e sbrigativi che saccenti. A uno sguardo superficiale potrebbero sembrare più sereni degli snob comuni, ma in realtà sono solo più svogliati. Hanno perso gran parte dell’originaria verve polemica e l’esercizio dello snobismo al cubo non dà loro il sollievo sperato.

Dio mio, Manrico alla terza, è orribile!

Cosa?

Hanno arrestato otto persone solo perché non hanno finito il dessert.

...

Avevano tutti meno di un anno, godevano dell’immunità parlamentare, erano incensurati, di buona famiglia e andavano a messa ogni domenica. Dove vai?

A casa.

Ovviamente esistono anche gli snob alla quarta. Questi individui, spossati e piegati dallo sforzo di tutti questi salti snobistici, abbandonano anche le tecniche tipiche dello snobismo, le domande retoriche e il sorrisetto di superiorità e si lasciano andare senza opporre resistenza al più piatto conformismo. Sono anche detti “gente comune”.

(Smeriglia)

giovedì 26 gennaio 2012

intervista con me stesso

Com’è nata in lei la passione per il pediluvio?

Può darmi dell’io, se vuole.

Volentieri, com’è nata in me la passione per il pediluvio?

Fu merito di mia madre, che mi iniziò all’arte misteriosofica dei piedi in ammollo. Tutto quello che conoscevo sino ad allora erano delle fugaci abluzioni nel bidet con acqua tiepida. Di tanto in tanto qualche borsa dell’acqua calda ai piedi del letto mi aveva fatto intuire le enormi potenzialità introspettive legate al mondo del pediluvio, ma in maniera del tutto inconsapevole ed embrionale. Del resto ero troppo acerbo, non avrò avuto più di otto o nove anni, ma mi appassionai immediatamente al pediluvio. Grazie mamma.

Ho mai provato a ristorare i piedi in qualche altra maniera?

Certo. Ad esempio mi piace “sotterrare” i piedi sotto la sabbia calda in spiaggia. Anche farmi massaggiare i piedi da qualcuno in gamba non è affatto male. Sono senza dubbio situazioni piacevoli e rilassanti, ma in qualche misura più “dispersive”. Insomma, per come la vedo io, il pediluvio è tutta un'altra cosa. Quando ti fai il pediluvio sei solo con te stesso, i tuoi piedi e l’acqua calda che sprigiona vapori aromatici. Io credo che un uomo veramente libero sia un uomo che prende le sue decisioni da solo, con i piedi immersi in una bacinella azzurra piena di acqua calda, un bicchiere di vino rosso in mano ed un disco di musica jazz come sottofondo (il genere musicale è opzionale, ovviamente). Qualche anno fa mi fu regalato per il mio compleanno una bacinella elettrificata in grado di realizzare un pediluvio “extra-strong”. Collegando la bacinella alla presa elettrica era possibile aggiungere al solito pediluvio un effetto idromassaggio rumoroso ed invadente. Nulla di più sacrilego ed irriverente. Prima o poi dovrò decidermi di dare via questa diavoleria che tengo a debita distanza dai miei piedi. Penso di essere una persona abbastanza aperta su molte cose. Ma sul pediluvio proprio no. Mi piace alla maniera tradizionale, con la bacinella azzurra e tutto il resto.

Sì, lo so.
Dico qualcosa dei sali minerali che sono solito utilizzare col pediluvio.

Ce ne sono tantissimi e la scelta è veramente ampia. Personalmente prediligo i sali balsamici podologici che vengono preparati ad arte dai monaci camaldolesi oppure il buon vecchio bicarbonato con il quale vai sempre sul sicuro…

Come mai impiego così tanto tempo per farmi un pediluvio quando molte persone non ci stanno più di un quarto d’ora?

Come dicevo prima, il pediluvio per me è un momento di introspezione. Leggo oppure non leggo, butto giù appunti, penso, rifletto, prendo decisioni. Tutto questo ambaradam di cose richiede tempo, non lo si può liquidare in modo sbrigativo destinandovi una manciata di minuti. E’ proprio il concetto di “slow footbath” che ultimamente sta diventando sempre più di moda, ma che io ho applicato senza saperlo sin da ragazzo senza chiamarlo così.

Come giudico le persone che non si fanno il pediluvio?

Per carità, le rispetto. Ma mi sembrano dei marziani. Questo non vuol dire che mi reputo migliore, solo molto diverso. Io credo che la maggiore o minore attitudine al pediluvio racconti molto della persona e delle sue inclinazioni.

Per caso mi sto prendendo in giro?

No, è solo che - senza voler trarre conclusioni generali - mi limito a constatare che le persone che ho conosciuto in questa vita e che erano amanti del pediluvio erano anche le persone con le quali avevo maggiormente qualcosa in comune, con le quali il mio spirito andava di più in consonanza. Sarà solo una coincidenza? Ancora non l’ho capito. Forse non lo capirò mai. Forse non ho ancora fatto abbastanza pediluvi per capirlo.

È esattamente quello che penso anch’io.

Ogni scusa è buona per riempire nuovamente d’acqua calda quella dannata bacinella.

Esatto.

Devo confessare che a volte ho disdetto appuntamenti e staccato il cellulare pur di godermi in santa pace un sacrosanto pediluvio. Quando stai a rota, stai a rota.

Non è che sto esagerando?

L’importante è non disperdersi in questo magico e fumoso mondo del pediluvio, che sarà sicuramente qualcosa di affascinante ma alla fine può dare una forma di dipendenza psicologica. Bisogna sempre ricordare che il pediluvio lo si fa per conoscere meglio se stessi e per liberare il proprio spirito, non per imprigionarlo di più.

C’è qualcos’altro che mi voglio chiedere?

No.

giovedì 19 gennaio 2012

riproduzioni in serie

Il cervello umano non è programmato per studiare l’universo o farsi domande sul senso dell’esistenza, è programmato per adattarsi in fretta all’ambiente circostante e mettere al mondo il maggior numero possibile di figli in quei pochi anni che ha a disposizione. Cose come la Critica della Ragion Pura o la Teoria della Relatività sono incidenti di percorso, non il normale punto di arrivo di un cervello. Chi cita Einstein come esempio della grandezza del genere umano (e quindi, indirettamente, della propria) sbaglia, perché un esempio per essere buono deve essere tipico, non eccezionale, e un tipico esempio della grandezza del genere umano è Teo Mammucari, non Einstein.
Quando un cervello viene al mondo, per prima cosa si guarda intorno attraverso il suo sofisticato sistema audiovisivo, poi passa subito a copiare tutto quello che vede e sente. Tutto. Non importa che senso abbia o non abbia, lui guarda e riproduce tutto tale e quale, come una fotocopiatrice. Prima lo riproduce con la voce e i gesti, poi con i comportamenti e alla fine anche materialmente, mettendo al mondo tanti altri cervelli identici a lui. Copia e incolla, ecco come funziona il cervello. Per questo motivo la religione giusta è sempre quella dove sono nato, la gente civile è quella del mio paese e nessuno fa il pane buono come qui da noi. L’obiettivo del cervello non è la scoperta di cose nuove, ma la riproduzione di quelle vecchie.
Ovviamente questo non significa che il cervello sia stupido, anzi è un organo molto intelligente, solo che la sua intelligenza è finalizzata al copia e incolla, non alla conoscenza. Quando uno scopre qualcosa di nuovo (ogni tanto succede), riesce a scoprirlo non grazie al suo cervello, ma nonostante il suo cervello. Scoprire una cosa nuova significa sconfiggere il proprio cervello, quindi non bisognerebbe gridare “eureka!” ma “t’ho fregato, brutto stronzo!”.
Se il cervello umano fosse fatto per la cosmologia, la filosofia e la conoscenza in generale, il suo algoritmo sarebbe questo:




Ma purtroppo non funziona così. Il punto di partenza dell’algoritmo non è mai una domanda, ma una risposta: i maiali volano. Una risposta copiata da genitori, preti e insegnanti e subito diligentemente incollata nei neuroni. Il cervello non va in giro per il mondo con una domanda in cerca della risposta, come di solito si dice, ma va in giro per il mondo con una risposta in cerca della possibilità di riprodurla, e se disgraziatamente un dato oggettivo transita nel suo campo audiovisivo, il cervello cerca di scacciarlo.
Il vero algoritmo del cervello è questo:
 
(Smeriglia)

Miss Marianna Charpillon è più puttana di sua madre

Riporto un famoso episodio tratto dalle memorie di Giacomo Casanova, nel quale il seduttore per eccellenza (si dice che, tra baldracche e nobildonne, ne abbia frequentate intimamente più di centoventi) è stato sedotto da una donna di facilissimi costumi.
Marianna Charpillon (il vero cognome era Auspurgher) aveva diciassette anni quando dalla Francia si trasferì in Inghilterra insieme alla madre, ex prostituta, e tre zie ruffiane. Nonostante l’aspetto dolce e seducente, la giovane s’era già guadagnata i galloni di sgualdrina lungo i viali di Vaux Halle.
Giacomo Casanova la incontrò in casa di un ufficiale fiammingo e ne restò colpito. Per conquistarla, le fece regali sontuosi, seguendola ovunque (errore madornale, davvero indegno del grande veneziano).
Giacomo non badava a spese e, in cambio, si accontentava di sorrisi, promesse e sospiri d’amore. Più lui si offriva a lei e più lei gli si negava, più lui s’infiammava di passione e più lei lo raffreddava, assumendo atteggiamenti ritrosi.
Dopo diversi, inutili tentativi (altro errore davvero micidiale: al terzo rifiuto è sempre buona norma abbandonare la partita), Casanova decise di rinunciare. Dopo tre settimane, però, cambiò idea e ritornò alla carica: si recò a casa di lei e una delle zie (ruffiane) l’accompagnò nella stanza dove Marianna faceva il bagno.
La ragazza montò (apparentemente) su tutte le furie (se lo stava cucinando a puntino), lo insultò e lo cacciò. Giacomo tornò a casa ferito e offeso e giurò di non rifarsi più vivo.
Ma era ormai caduto nella rete di lei e, difatti, nelle Memorie scriverà: “L’ascendente che quella creatura aveva su di me era irresistibile e io ero convinto che l’unico modo per evitare di esserne vittima era quello di non vederla o di rinunciare, anche frequentandola, a godere delle sue bellezze. Ma la briccona s’era messa in testa di neutralizzare le mie mosse.”
Sapeva, dunque, il seduttore veneziano che la ragazza stava giocando con lui ed i suoi sentimenti (incredibile a dirsi, Casanova si innamorerà di Marianna) e, nonostante ciò, non riusciva a tirarsi fuori dall’inganno di cui sarebbe stato vittima.
La rivide dopo poco tempo con una delle zie e ricominciò a farle la corte, ma lei si tenne ancor più sulle sue: prima, disse, voleva accertarsi delle sue buone intenzioni.
Casanova, stavolta, sembrò davvero deciso a lasciarla perdere.
Pochi giorni più tardi andò a trovarlo Goudar, uno dei ruffiani della ragazza (che, ricordiamolo, esercitava la nobile arte del meretricio): lo mise sul chi va là, dicendogli che madre e zie erano imbroglione conclamate e che, da un amore, non si guarisce fuggendo.
Casanova si precipitò dalla madre e le offrì cento ghinee in cambio di una notte con la figlia. Quando Marianna lo seppe, esplose in un’incontenibile scenataccia, rinfacciandogli di trattarla come una puttana (certe donne, a volte, non hanno davvero pudore). Il veneziano si sentì in colpa e, la sera stessa, tornò dalla giovane “corpivendola” con un mucchio di regali (senza pretendere nessuna prestazione in cambio).
Due settimane dopo, versò il dovuto alla madre e finalmente rimase solo con la figlia. Spente le luci, si lanciò con passione su di lei, ma la giovane mignotta lo respinse ancora. Giacomo era, ormai, fuori di sé e le strappò l’enorme camicia che l’infagottava; non osò andare oltre, perché lei, strenuamente, gli resisteva ancora.
Ricorse, invece, alle minacce e l’afferrò per la gola; Marianna cominciò ad urlare e lui, capita l’antifona, si rivestì e lasciò quella casa, giurando di non tornarci mai più.
Dopo qualche giorno ricevette alcune lettere da madre e figlia che minacciavano di denunciarlo per percosse. Non rispose.
Un bel giorno Marianna gli piombò in casa per mostrargli i graffi che lui le aveva fatto strappandole la camicia. Il veneziano si commosse, le chiese perdono e lei (scaltra come al solito) si disse pronta a lasciare la famiglia e a convivere con lui, in cambio di un assegno alla madre.
Casanova accettò. Anche i grandi maestri fanno grandi stronzate.
La prima notte di convivenza, Marianna accampò un’improvvisa indisposizione e Giacomo andò ancora in bianco. La mattina scoprì che la sgualdrina aveva mentito e la pestò a sangue, rimandandola dalla madre.
Si pentì quasi subito di quella violenza e, per farsi perdonare, le regalò un servizio da caffè e da tè per dodici, accompagnato da un biglietto d’amore che, in realtà, sanciva la sua resa incondizionata (ricordatevi sempre che stiamo parlando di Giacomo Casanova).
I due si rimisero insieme, ma, ancora una volta, lei non gli si concesse: la tattica funzionava e, dunque, perché cambiarla?
La giovane non perdeva occasione per stuzzicarlo: gli ripeteva che lo amava e che lui non sapeva prenderla; sarebbe stata sua quando lui avrebbe dimostrato di esserne degno.
Un giorno lei si sollevò la gonna e si tirò giù le mutande. Giacomo, ingrifato da far paura, le si buttò addosso e la giovane puttanella… lo respinse di nuovo. Lui, esasperato, estrasse il coltello e glielo puntò alla gola; la donna non s’arrese neanche di fronte a quel pericolo mortale, anzi, minacciò a sua volta di denunciarlo.
Quest’avventura” scriverà Casanova “mi colpì lo spirito con una forza estrema. Capii che, se non evitavo ogni occasione di vedere quella ragazza, ero un uomo finito.”
La rivide poco tempo dopo a casa di lei, sdraiata su un canapè tra le braccia di un parrucchiere: li bastonò entrambi e mise a soqquadro mobili, suppellettili e tutto ciò che gli capitava per le mani. La ragazza fuggì impaurita e lui, pentito ancora una volta (che potere hanno le donne che non si concedono), s’impegnò a pagare i danni e a risarcire i due malcapitati.
L’indomani andò a trovarla e scoprì che la sgualdrina stava molto male (ovviamente fingeva) e che, addirittura, il medico (d’accordo con lei) temeva per la sua vita. Giacomo, sconvolto, decise di suicidarsi: si riempì le tasche di piombo e si avviò verso la torre di Londra per tuffarsi nel Tamigi.
Al ponte di Westminster s’imbatté nel cavaliere Edgar, che, colpito dall’aria strana del veneziano, riuscì a convincerlo a seguirlo nella più vicina osteria. Mangiarono ostriche e bevvero molto vino, mentre due donne francesi, amiche di Edgar, ballavano nude per loro.
Insieme ad Edgar, che ormai era riuscito a fargli passare i propositi suicidi, si recarono in un altro locale, dove videro Marianna che danzava con il solito parrucchiere. Casanova si avvicinò e la invitò a ballare, ma la giovane lo respinse ancora una volta. Fu l’ultima: finalmente capì che era stato ingannato per tutto il tempo.
Su consiglio di Edgar denunciò la madre e le zie per estorsione e le fece imprigionare. A sua volta fu denunciato per violenza, finì in carcere, ma uscì quasi subito su cauzione.
Tornato a casa, comprò un pappagallo, lo sistemò vicino al letto e gli insegnò a dire: “Miss Marianna Charpillon è più puttana di sua madre.”
La disavventura lasciò nel veneziano una profonda cicatrice, quell’amore non corrisposto inferse un duro colpo alla sua carriera di libertino: per la prima volta si era innamorato di una donna che gli resisteva ad oltranza e ciò scatenava, oltre ogni limite, il suo desiderio e la sua passione.
Il fatto di non poterla avere lo aveva letteralmente soggiogato alla volontà di lei, rendendolo vittima consapevole delle sue trame.
La Charpillon, femmina per eccellenza, donna senza scrupoli e senza cuore, amorale alla perfezione, circondata da vecchie megere ruffiane, stravolse Casanova dalla sua immagine, facendone l’anti-Casanova.
Lo uccise moralmente e sessualmente, adescandolo e respingendolo, offrendosi e negandosi.
In questo breve estratto delle Memorie di Giacomo Casanova, io credo ci sia quanto di meglio si possa imparare sull’arte della seduzione e il fatto che la “preda” stavolta sia stato un grande seduttore, dimostra la grandiosità del genio di Marianna Charpillon: una piccola puttana dei viali di Vaux Halle, che fece quasi impazzire il grande Giacomo Casanova da Venezia.

martedì 3 gennaio 2012

Gertrude "Baby" Cox

La storia del jazz è piena di figure misteriose, artisti di talento di cui non si è saputo più nulla e che hanno lasciato come unica traccia di se soltanto qualche incisione.
Nel caso di Gertrude "Baby" Cox, i quattro brani che ci ha lasciato ci regalano la voce di una cantante di grande talento, estremamente all'avanguardia rispetto al panorama musicale jazzistico della fine degli anni '20 e dei primi anni '30.
Di lei, non sappiamo quasi nulla, nemmeno quando ed in quale città sia nata oppure il luogo e la data della morte.
Per lungo tempo si è addirittura dubitato che Baby Cox potesse essere un uomo, ma i dubbi riguardo alla sua femminilità sono stati fugati da quando si è accertato che nel 1929 a Brodway ebbe una parte nel musical "Hot Chocolate" col nome femminile di Gertrude Cox.
Ora si sa che Baby Cox era "una bellissima ragazza che lavorava nei maggiori spettacoli di varietà", come hanno ricostruito Samuel Charters e Leonard Kunstad in un libro del 1962 ("Jazz. A History of the New York Scene").
Una donna bellissima, dunque. E bravissima. Una cantante dalla voce folgorante, avvolta nel mistero...
Quel che è certo è che, circa un anno dopo che Adelaide Hall divenisse celebre per il suo assolo vocale privo di parole nel brano "Creole Love Call" di Duke Ellington, il 1° ottobre 1928 una nuova cantante passa alla storia incidendo un brano ("The Mooche") con l'orchestra di Ellington duettando con il chitarrista Lonnie Johnson.
Quella cantante è Baby Cox, il suo stile vocale è prettamente strumentale e le sue doti vocali sono strabilianti.
Lo stesso giorno, Baby Cox incide con la stessa orchestra un secondo brano memorabile ("Hot and Bothered"), dove la sua voce esplosiva si alterna alla cornetta dei Bubber Miley.
Successivamente Baby Cox tornerà a registrare con Ellington due versioni differenti di "I Can't Give You Anything But Love", il 30 ottobre ed il 10 novembre del 1928. La seconda versione è stata pubblicata soltanto negli anni '80.
Quel che si sa in più di Baby Cox non è molto, al di la della predettta partecipazione al musical "Hot Chocolate" del 1929 e in uno show di poco successo del 1933, "Humming Sam".
A parlarci di lei e della sua voce rimangono le incisioni che ci ha lasciato e che sono entrate di diritto nella storia del jazz.
La sua vita è stata un mistero ma la sua voce è diventata immortale.
Grazie Baby Cox, qualunque cosa tu abbia combinato, sei stata una grande.


The Mooche



Hot and Bothered



I Can't Give You Anything But Love

riflessione da primo gennaio mattina

Tra il dire e il caffere c'è di mezzo il bare...