martedì 26 febbraio 2013

Che vi piaccia o no, il PD è un partito "di destra"

Che vi piaccia o no, il PD in realtà ha a cuore gli interessi della classe dominante e la maggior parte delle sue azioni politiche sono orientate in un’ottica di protezione degli interessi di oligarchie economiche. Infatti:

1. Neanche il PD stesso si definisce più «di sinistra», ma «democratico e progressista». Anzi, cerca di respingere ogni possibile associazione o legame reale con la tradizione «di sinistra»: per esempio, nel Parlamento Europeo rifiuta di far parte del Partito Socialista Europeo (PSE) perché ritenuto troppo a sinistra, tanto che si è dovuto creare un apposito gruppo sovrapartitico per poterlo includere in una più neutra “Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici”, in cui il PD si riconosce ovviamente nei “democratici” più che nei “socialisti”.

2. Non ha mai voluto lavorare per una legge sul conflitto d’interessi.

3. Ha sempre sostenuto la necessità di realizzare la tratta di Treni ad Alta Velocità (TAV) nonostante l’opposizione popolare e nonostante il fatto evidente che questa opera sia utile solo per il tornaconto delle aziende private coinvolte e della mafia infiltrata. Un’inutilità, tra l’altro, ammessa anche dai alcuni liberisti puri che non appartengono al mondo politico di sinistra.

4. Si dichiara in generale a favore delle privatizzazioni: nell’ambito delle infrastrutture intende «favorire l’ingresso di operatori privati italiani e stranieri».

5. Non intende rispettare l’esito del referendum sulla gestione delle risorse idriche.

6. Accetta finanziamenti da parte della grande imprenditoria italiana, come i Riva, per poi genuflettersi agli interessi dell’Ilva.

7. Promuove attivamente l’abolizione dell’articolo 18 e, più in generale, delle tutele sindacali.

8. Accetta acriticamente le richieste di un cartello di banche che consiglia di procedere per decreto, il più rapidamente possibile, alla «cessione di società pubbliche locali» e alla riduzione della «rigidità nelle norme sui licenziamenti dei contratti a tempo indeterminato» (lettera di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi dell’agosto 2011).

9. Stefano Fassina, membro della segreteria nazionale del PD, in un’intervista al Financial Times ha rassicurato la finanza mondiale che «se andremo al governo non rinegozieremo il fiscal compact né abrogheremo il pareggio in bilancio in Costituzione».

10. E’ un partito liberista tanto quanto lo è stato quello di Monti, se non di più. Nell’ultimo anno ha sostenuto il governo Monti votando a favore di tutte le leggi che sanciscono lo smantellamento dello stato sociale, confermando la riforma della scuola e dell’università con i pesanti tagli, l’ingresso di privati nel mondo della formazione e la trasformazione degli organi di governo in consigli di amministrazione, tagliando i fondi destinati alla ricerca e alla sanità pubblica.

11. Sempre nell’ultimo anno si è costantemente proposto come un interlocutore del governo Monti piuttosto che un avversario politico. La strategia politica sarebbe stata quella di governare assieme a Monti, punto sul quale si era preoccupato di rassicurare gli USA.

12. Infatti, un gran numero di esponenti del mondo della finanza e del capitale hanno appoggiato il PD, sostenendolo indirettamente o direttamente (ad esempio, Colaninno e De Benedettti) affinchè dopo le elezioni formasse un governo con Monti.

13. In base a sondaggi di gradimento, il governo Monti che è stato il governo italiano più di destra degli ultimi trent’anni, ha goduto del consenso – con convizione (e non a malincuore) – di un’elevata percentuale dell’elettorato del PD, molto maggiore di quella che si è riscontrata negli elettori del PDL. Questo smentisce l’ipotesi che le scelte politiche del PD siano state sostenute solo dai vertici del partito senza il consenso della base dei suoi elettori.

14. Non si oppone alle spese militari calendarizzate dal Ministero della difesa entro il 2014: acquisizione di due sommergibili di nuova generazione, di navi da guerra, di elicotteri, di sistemi contraerei a corta/media portata e di difesa antimissile, completamento di una linea di elicotteri e relativo supporto logistico, completamento degli allestimenti e sistemi d’arma di una portaerei, prosecuzione di una serie di programmi missilistici internazionali, programma di approvvigionamento mezzi, equipaggiamenti, sistemi, nonché realizzazione di infrastrutture operative e di supporto per la costituzione di un HUB aereo nazionale.

15. Sulla questione di genere, il PD fino a poco tempo fa, senza che questo suscitasse nel partito nessuna crisi di identità, accoglieva cattolici integralisti che, se dipendesse da loro, volentieri abolirebbero non solo la legge sull’aborto ma probabilmente anche quella sul divorzio.

16. Includendo nella questione di genere anche i diritti degli omosessuali, il partito ha come presidente Rosy Bindi, un’ex-esponente del Partito Popolare ed ex-militante di Azione Cattolica che dei matrimoni omosessuali dice «non userei la parola matrimonio» e di chi li propone dice che hanno «posizioni massimaliste»

17. Sul piano delle pari opportunità, il PD si riduce a prendere in considerazione le  “quote rosa”.

18. Il PD parla di legalità come valore assoluto astratto e non come prodotto sociale ed esprime solidarietà con le Forze dell’Ordine «senza se e senza ma».

Un inquadramento storico del problema
E' del tutto evidente come il PD oggi, e le formazioni politiche di centrosinistra che lo hanno preceduto negli ultimi venti anni, abbiano smesso di perseguire l'unione dell'ideale di emancipazione dei ceti subalterni con la nozione di progresso storico inteso come sviluppo economico e tecnologico. 
Emancipazione e sviluppo sono i due binari sui quali il treno della sinistra ha viaggiato per tutta una fase storica fino alla crisi del capitalismo keynesiano-fordista avvenuta negli anni Settanta.
La risposta del capitale alla tale crisi segna l’inizio della fase attuale del capitalismo. 
Il potere contrattuale dei lavoratori viene distrutto da manovre politiche e da manovre economiche che prevedono delocalizzazioni, automazione produttiva, concorrenza della manodopera immigrata priva di diritti.
Alla saturazione dei mercati si risponde da una parte con la produzione di merci rivolte a nicchie più ristrette, la cui lavorazione richiede una sempre maggiore flessibilità dei lavoratori, e che sono caratterizzate da costi minori in termini di lavoro e sempre maggiori in termini di ricerca, pubblicità, corruzione; dall’altra, in proporzione crescente, con lo spostamento del capitale dalla produzione alla finanza.
In questa situazione la sinistra riformista non ha più nessuno spazio.
Non sono più possibili politiche dei redditi che trasferiscano ai lavoratori (direttamente con aumenti salariali o indirettamente con i servizi del Stato Sociale) parte dei profitti in modo compatibile con l’accumulazione capitalistica.
Non è più possibile una politica di tendenziale piena occupazione perché questa ridarebbe alla classe operaia un potere contrattuale incompatibile con la forma attuale di accumulazione del capitale.
In mancanza di una prospettiva di superamento del capitalismo, la sinistra non ha nessuno strumento per contrastare la distruzione delle conquiste ottenute dai ceti subalterni nella fase precedente. 

A questa difficoltà oggettiva la sinistra ha aggiunto, in tutti o quasi i paesi occidentali e nella larga maggioranza delle sue componenti, una complicità soggettiva: non solo essa non fa nulla per contrastare tali processi, ma diventa una forza che attivamente li persegue. 
Questa complicità ha ovviamente assunto forme diverse nei vari paesi. 
In Italia l’anno cruciale in cui si determina è il 1993. 
E’ noto come il 2 giugno 1992 il panfilo Britannia della Regina d’Inghilterra abbia raccolto un nutrito gruppo di banchieri anglosassoni e di personaggi del mondo politico ed economico italiano per progettare, sotto l’impulso e la direzione dei primi, la privatizzazione dell’economia pubblica italiana. 
Tale privatizzazione viene avviata l’anno successivo prima dal governo Amato, e poi dal governo Ciampi che gli succede. 
Il passaggio essenziale compiuto dai governi Amato e Ciampi è consistito, più che in specifiche privatizzazioni, nell’approntare la struttura giuridica necessaria alle privatizzazioni stesse, che avranno uno sviluppo imponente tra il dicembre 1993, quando viene ceduto ad un pool di banche italiane e straniere, ad un prezzo di svendita, il Credito Italiano, ed il maggio 1999, quando dal tronco delle Ferrovie dello Stato nascono Trenitalia e RFI. 
L’anno cruciale è il 1997, quando, sotto il governo Prodi, vengono privatizzate la Società Autostrade, Finmeccanica, e soprattutto STET e SIP, fuse in Telecom. 
Si tratta di un’immane trasformazione, di un mutamento epocale, che ha l’effetto di distruggere tutti quegli strumenti dell’intervento pubblico nell’economia con i quali la sinistra aveva svolto nei decenni precedenti la sua politica emancipativa. 
Tutto questo avviene con il sostanziale assenso della sinistra: il PDS si astiene sul governo Ciampi e, soprattutto, né il PDS né Rifondazione Comunista discutono, nel 1993, l’avvio del grande ciclo di privatizzazione dell’economia pubblica italiana e non mobilitano il loro popolo e i loro intellettuali riguardo ad una questione fondamentale come questa.
Questo silenzio ha una sola spiegazione, per la quale non abbiamo prove definitive, ma che ci sembra l’unico scenario ragionevole: vi è stato fra il ‘92 e il ‘93 una trattativa nella quale i dirigenti dell’ex-PCI hanno concesso ai poteri forti dell’economia la loro inerzia silenziosa di fronte all’avvio del ciclo delle privatizzazioni, ottenendo in cambio quella legittimazione a partecipare al governo del paese che non avevano a causa del loro passato legame con l’Unione Sovietica e il comunismo internazionale.
Ricordiamo che il governo Ciampi aveva al momento della sua formazione tre ministri provenienti dalla sinistra, immediatamente dimessisi soltanto per vicende legate alle inchieste di Mani Pulite.
La sinistra è poi entrata in forze nel governo nel 1996, dopo la vittoria elettorale di Prodi, scelto da D’Alema come capo della coalizione di centro-sinistra non, come allora si disse, in quanto ex-democristiano, ma in quanto uomo della Goldman Sachs, in grado di farsi garante per una sinistra di governo presso i poteri forti dell’economia.
La fase delle grandi privatizzazioni degli anni Novanta rappresenta il passaggio dell’Italia dal capitalismo “keynesiano-fordista” all’attuale capitalismo “neoliberista-globalizzato” e, parallelamente, anche la compiuta e definitiva trasformazione della sinistra italiana in una forza de-emancipativa, trasformazione che culmina con l’aggressione alla Jugoslavia del ’99, attuata da un governo di centrosinistra con a capo Massimo D’Alema.
Riassumendo, a partire dagli anni Settanta, i due binari dell'Emancipazione e dello sviluppo sui quali il treno della sinistra aveva viaggiato sino ad allora si sono divaricati e sono andati in direzioni opposte: il treno non poteva che deragliare, e in tali condizioni l’unica scelta razionale, per i viaggiatori sopravvissuti, è quella di abbandonare il treno e continuare il viaggio in altro modo e su altri mezzi. 
La fine della sinistra emancipativa non è quindi, se non in modo derivato, un risultato degli errori politici, della pochezza intellettuale e morale, dei tradimenti dei ceti dirigenti della sinistra stessa.
Tutto questo vi è stato, ma sulla base di un esaurimento storico dell’identità fondamentale della sinistra stessa. Di fronte a questo esaurimento storico i ceti dirigenti della sinistra si sono trovati a dover scegliere fra difesa degli ideali di emancipazione da una parte e sviluppo dall’altra, e in questo frangente hanno mostrato tutta la loro pochezza intellettuale e morale.
La complicità soggettiva alla de-emancipazione è stata cioè resa possibile dalla situazione di esaurimento storico delle ragioni fondative della sinistra emancipativa.

venerdì 4 gennaio 2013